Sono passati ventinove anni da quel 19 luglio 1992 in cui persero la vita il Giudice Paolo
Borsellino e gli uomini della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li
Muli, Walter Cosina, Claudio Traina. L’unico superstite fu Antonino Vullo che quel
pomeriggio si trovava in testa al corteo della auto. Erano le ore 16.52 quando la fiat 126
imbottita di tritolo che si trovava in via D’Amelio fu fatta esplodere causando la strage.
Si scoprì successivamente che dietro quella terribile mattanza si celava una trattativa
demandata a componenti delle Istituzioni nelle persone dell’allora colonnello del Ros
Mario Mori e del capitano De Donno che scelsero l’ex Sindaco di Palermo Don Vito
Ciancimino come tramite per arrivare alla “cupola”.
Lo Stato, sotto ricatto, voleva mettersi al tavolo con Cosa Nostra per fermare le stragi; in
altre parole arrivare ad una resa. Ma questo Paolo Borsellino, che aveva appena visto
morire il collega e amico Giovanni Falcone, non lo poteva permettere. Non si sarebbe mai
dovuto trovare un accordo con chi chiedeva la revisione del maxi-processo e altri benefici
per i mafiosi. E così il Giudice divenne un ostacolo alla trattativa e fu abbandonato al suo
destino.
Lo stesso pomeriggio della strage di Via D’Amelio un uomo dello Stato, nel perimetro
recintato del cratere della bomba, si introduce nell’auto carbonizzata, prende una delle due
borse appartenenti a Borsellino e da lì estrae l’agenda rossa che non fu mai più trovata.
Quella stessa agenda che conteneva nomi e fatti che il Giudice aveva scoperto. E per non
far capire chi era stato ad organizzare quelle stragi, e cioè i fratelli Graviano – boss di
Brancaccio, legati ad uomini dello Stato e della politica anche futuri, venne organizzato da
Arnaldo La Barbera, funzionario di polizia che coordinò le indagini sull’attentato, il più
classico dei depistaggi (La sentenza della Corte d'Assise di Caltanissetta lo definisce «uno
dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana»), “confezionando” ad hoc un falso
pentito, tal Vincenzo Scarantino, che rese dichiarazioni false e preconfezionate.
Dal passato emergono frammenti di verità con molta fatica, inchiesta dopo inchiesta,
processo dopo processo. Proprio per questo servirebbe uno sforzo supplementare delle
Istituzioni tutte per illuminare gli angoli bui del passato e non a comportamenti che mirano
a far dimenticare questa storia, a cancellarla per sempre.
Andrea Fossati