Un intervento che ho inviato al quotidiano locale Libertà, pubblicato il 24/03/2012.
Tra i
tanti referendum promossi nel tempo dai Radicali ve ne fu uno che
prevedeva l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Era il
1993 e, complici gli scandali di Tangentopoli il risultato della
consultazione fu un plebiscito: votò il 77% degli aventi diritto ed
oltre il 90% degli stessi si espresse per l’eliminazione della legge.
Passato solo qualche mese, nel dicembre 1993, con la legge 515 venne
alla luce il “contributo per le spese elettorali”, nato dall’esigenza di
dover comunque riconoscere ai partiti la possibilità di concorrere alle
elezioni. Un’esigenza legittima, che in uno Stato normale sarebbe da
considerare tout court cosa buona e giusta, da classificare come “costo
della democrazia”.
Nel corso degli anni è nato però un problema,
legato all’allargamento delle maglie e all’uso perverso dei contributi
al fine di rimpinguare le casse dei partiti ben al di là di quanto
necessario a coprire le spese.
Nel 1997 venne introdotta la
possibilità di destinare il 4 per mille dell’IRPEF al finanziamento di
partiti e movimenti politici, nel 1999 si introdusse ufficialmente il
rimborso elettorale.
Nel 2006 si concesse ai partiti il rimborso per
cinque anni a prescindere dalla durata della legislatura. Sicchè i
partiti continuarono a percepire i rimborsi elettorali anche dopo il
rinnovo del Parlamento avvenuto nel 2008 e, alcuni di essi, continuarono
a percepirlo benché nel frattempo fossero scomparsi per volontà degli
elettori o per confluenza in altre sigle.
E’ cronaca (nera) di
questi giorni che soldi pubblici restino in mano a partiti estinti e
alla merce di scaltri tesorieri per usi disinvolti. Anomalie
legislative prodotte dall’ingordigia della casta, cresciute nel corso
degli anni trascinandosi appresso sperperi e arroganza al punto da
generare nuovamente nella politica un’autentica emergenza etica e
morale.
Assodato che è inutile attendersi segnali efficaci da
un Parlamento che in stato di ipnosi esprime solo voti di fiducia
dimostrandosi incapace di cogliere le istanze che nascono
dall’indignazione popolare, Antonio Di Pietro e l’Italia dei Valori
hanno deciso ancora una volta di affidarsi agli strumenti offerti dalla
nostra Costituzione per dare voce ai cittadini: il referendum
abrogativo, per demolire l’attuale regolamentazione sul “rimborso
elettorale” e la legge d’iniziativa popolare per fare una nuova proposta
concreta.
Andrea Fossati